Gli esempi di Cartelli in Querela Volontaria, sia tra Cavalieri che tra “Bravi”, riportati dal Fausto nel suo trattato, e trascritti nel PDF scaricabile (inclusa la premessa), delineano una consuetudine molto diffusa geograficamente, e applicabile, con le dovute differenze lessicali e pratiche, a diversi contesti in tutti gli strati sociali.
Sebastiano Fausto da Longiano nacque forse nel 1502 a Longiano in Romagna (prov. di Forlì); figura rinascimentale eclettica e inquieta, uomo di lettere classiche e d’armi (pare più le prime che le seconde); trascorse la propria vita spostandosi dal Bolognese al Piacentino, da Venezia a Torino.
Famoso per il suo autorevole esordio con la pubblicazione, nel 1532, di un commento al Canzoniere di Petrarca; tra il 1533 e il 1543 fu attivo in ambito letterario con una serie di opere di diverso argomento e varia impostazione, annunciate come compiute o in via di composizione delle quali non resta traccia.
La personalità del Fausto presenta i tratti tipici del poligrafo: nella sua produzione si intrecciano trattati civili, scritti eruditi e grammaticali, traduzioni di classici e di moderni, opere storiche.
Vogliamo qui ricordare una delle sue opere più concrete: il trattato sul Duello regolato a le leggi de l’honore (Venezia, Valgrisi, 1552), terminato nell’arco di un decennio alla corte dell’Appiani, cui è dedicato. L’impreparazione sul piano tecnico-giuridico non consente al Fausto di affrontare il problema centrale della materia e cioè la legittimità del duello in rapporto alle leggi civili. Dopo aver esposto concetti filosofici universali, il Fausto accantona l’esame del diritto, da cui non può che derivare la condanna del duello come “di cosa contro la publica utilità”, e invoca il principio della consuetudine per legittimarlo nei termini di una “religione d’honore” proclamata come istanza etica superiore. In questa prospettiva il duello cessa di essere un istituto giuridico a cui ricorrere per difendersi da un’accusa grave e infamante (da assimilare per i giuristi all’ordalia o giudizio divino) e diviene lo strumento a disposizione del “cavaliere honorato” per tutelare la propria immagine pubblica e il prestigio sociale.
Questo radicalismo cavalleresco si innesta perfettamente nel dibattito sul duello che si intensificava in Italia in una fase di assestamento dell’equilibrio tra potenze straniere, che tendevano a comprimere le autonomie delle piccole corti locali a favore di uno Stato unitario a struttura verticistica. In questa prospettiva andava scoraggiata la pratica autonornistica del duello come retaggio dell’ideologia cavalleresca che aveva permeato la cultura cortigiana preesistente e che ora si coloriva di sfumature anarchiche ed eversive. [1]
A cura della Sala d’Armi Achille Marozzo Sez. Roma – © 2012 Sala d’Arme Achille Marozzo