La navaja, secondo la definizione di un esperto, Rafael Martinez del Peral Forton, è uno “strumento molto popolare, usato in Spagna durante i secoli XVII, XVIII e XIX, la cui lama affilata da un solo lato, appuntita e quasi sempre un po’ curva rimane collegata all’impugnatura per mezzo di un meccanismo speciale che permette di farla girare sopra il manico, affinché il filo rimanga alloggiato tra le due guance, di misura tra i 18 e i 24 cm. circa, in posizione chiusa.”
La sua storia è densa di folklore e di leggenda,ma possiamo qui solo riassumerla per sommi capi: Fino a che la monarchia spagnola favorì tra i suoi sudditi l’usanza di portare la spada, arrivando a volte fino a renderla obbligatoria, non si trovano tracce della navaja. Solo più tardi, dalla seconda metà del XVI secolo, quando si diffonde un uso e una concezione sociale (mai una legge esplicita) che riserva il diritto di portare la spada alla sola nobiltà, cominciano ad apparire i primi esemplari di navaja. La spada era diventata un’arma non solo tipica del nobile, ma troppo costosa, ingombrante da portare e forse addirittura ridicola per un popolano, troppo pretenziosa. Tuttavia le strade e le città del Regno erano poco sicure per i popolani come per i nobili, e così si ricorse a qualcosa di diverso che potesse fornire comunque una protezione consistente.
La navaja è decisamente più corta di una spada, e particolarmente di una striscia (1) da duello dell’epoca, ma era comunque di ragguardevoli dimensioni (la lunghezza si duplica aprendola), pesava meno, era comoda da portare, facile da nascondere, utilizzabile anche come utensile, difficile da danneggiare in quanto la lama era protetta dal manico. Inoltre è utilizzabile sia di punta che di taglio, azione in cui si dimostra addirittura più efficace delle sottili rapiéres (1) civili usate dai nobili.
I primi esemplari, abbastanza rari, di quest’arma sono del XVII secolo, ma è invece nel secolo XVIII che si ha la grande diffusione della navaja, che venne ad essere conosciuta, apprezzata e prodotta anche in tutta la costa settentrionale del Mediterraneo (e in particolare in Italia e in Francia), oltre che in Portogallo, Gran Bretagna e Germania. E’ in questo periodo che si fissa anche la stessa parola navaja, derivata dal latino novacula, che significa rasoio (del resto in spagnolo anche il rasoio da barbiere si chiama navaja). L’etimologia stessa fornisce un chiaro indizio sull’origine dell’arma, su cui quindi non ci soffermeremo ulteriormente.
Il momento di maggior gloria della navaja si ebbe durante la Guerra d’Indipendenza spagnola contro Napoleone Bonaparte, in cui questa arma bianca fu la più usata in assoluto dai guerriglieri e rivoltosi spagnoli (che non temevano, così armati, di confrontarsi con le sciabole avversarie) e la più temuta dai militari francesi.
Anche le donne affidavano spesso la loro difesa a piccole navajas, che tenevano en la liga, cioè nella giarrettiera, come confessò anche la stessa regina Isabella II. A partire però proprio dal suo momento più fulgido iniziò la lenta decadenza dell’industria produttrice di navajas in Spagna, che continuò per gran parte del XIX secolo e poi nel XX. Oggi dei tanti centri di produzione che ancora si contavano nel secolo scorso sopravvive solo la città di Albacete, divenuta però in compenso ormai la città delle navajas per eccellenza.
Per quanto riguarda l’arte del combattimento vera e propria, sia Théophile Gautier (1843) che Charles Davillier (1874) riferiscono di aver incontrato numerosi esperti di scherma con la navaja, ognuno con i suoi colpi particolari e il suo stile personale, e Davillier riferisce anche di aver frequentato insieme al grande incisore e disegnatore Gustave Doré una regolare scuola di maneggio della navaja. Oltre ai disegni del Doré e alle descrizioni che Davillier fa del passeggio utilizzato e dei colpi principali, la principale fonte di informazione sul metodo spagnolo dell’epoca è il trattatello anonimo (dell’andaluso “M.d.R.”) da me recentemente tradotto: il “Manual del Baratero, o arte de manejar la navaja, el cuchillo y las tijeras de los jitanos”, del 1849. Vi è una stretta corrispondenza tra il metodo descritto dal misterioso M.d.R. e le note del Davillier, il che ci permette di stabilire che, a parte i colpi particolari preferiti dai singoli esperti, vi era un metodo comune e largamente conosciuto nella penisola.
La navaja classica è un’arma di ragguardevoli dimensioni e di notevole potenza di taglio, e così il metodo viene a comprendere appunto numerosi colpi di taglio come la plumada (mandritto) e il revés (rovescio), che sono invece esclusi nel maneggio del coltello. La posizione di guardia prevede di tenere la mano sinistra a contatto del ventre, a protezione dello stesso e prossima alla destra per effettuare eventualmente un cambio di mano, tenendola contemporaneamente lontano dai colpi dell’arma nemica. Invece nell’arte del pugnale la mano sinistra, che può essere difesa dal cappello, dalla cappa ecc., viene usata come scudo per parare i colpi del nemico. Fra gli altri colpi previsti vi è per esempio il “floretazo” (colpo di fioretto), un colpo d’incontro, di punta, effettuato incurvando il corpo, che costituisce un’ottima difesa contro un assalto rivolto al ventre (“mojada” o “viaje”) quando l’avversario si fa troppo avanti, o ancora il “chirlo”, uno sfregio alla faccia che viene effettuato più che altro come dimostrazione di disprezzo (si preferisce segnare il nemico che ucciderlo), e tutta una serie di altri colpi particolari che sarebbe troppo lungo elencare. Non manca poi una nutrita raccolta di trucchi, espedienti e simili, dal più classico lancio della sabbia negli occhi fino ai più elaborati, considerati comunque dall’anonimo autore indegni di un onorevole combattente di navaja e degni di essere studiati solo per sapersene difendere.
Nella scherma di navaja il passeggio o gioco di piedi è fondato sulla circolarità, sia nei “giri” (per attaccare) sia nei “controgiri” (per sfuggire all’attacco), sia nelle “corridas”. Per queste ultime si legge nel trattato: “…La “corrida” non è che la descrizione di un semicerchio eseguita da ciascuno dei combattenti…tentando di mantenere la distanza di partenza finché arrivi il momento dell’attacco, quando sarà necessario entrare nel terreno nemico…La “corrida” si esegue camminando in direzione laterale, a volte a sinistra e a volte a destra…Da questo risulta che i due semicerchi che i combattenti descrivono…arrivano a formare un cerchio intero.” A questo proposito sorge spontaneo un paragone con l’antica scuola spagnola di scherma con la spada, da cui pare che la scherma con la navaja abbia mutuato il suo sistema per spostarsi in combattimento. Si legge infatti in un trattato di Luis Pacheco de Narvaez, maestro d’armi di re Filippo II: ” …Dovete supporre che, trovandovi con il vostro avversario con le spade o con qualsiasi altra arma, dal vostro piede destro a quello del vostro avversario si forma un circolo…Il nemico non potrà ferire, a causa di quella distanza che vi è, senza spostarsi; così dovete cercare di tenere la giusta misura nei piedi, il che è il cimento principale di tutto questo edificio…E osservando sempre tale misura, sarà impossibile potervi ferire per la proporzione e distanza che sempre manterrete camminando lungo il circolo maggiore, e giammai il vostro avversario vi potrà raggiungere perchè il cerchio è una figura rotonda che non ha inizio nè fine…E tutti i movimenti che farete lungo esso potranno essere infiniti…” Si veda anche la figura tratta dal manoscritto, che riporta il circolo maggiore lungo il quale ci si deve spostare per mantenere la misura e i possibili percorsi di attacco: per esempio chi si trova in A può attaccare lungo il circolo minore verso D o B, oppure lungo i lati D o R del quadrato interno, o ancora lungo il diametro N (sconsigliato dall’antico autore). In particolare lo spostamento in avanti e poi lungo il cerchio minore ricorda il “giro” del baratero, che è più corto e immediato a causa della minor lunghezza dell’arma e quindi della giusta misura da mantenere. Non mi sembra azzardato dunque ipotizzare una qualche relazione di discendenza di questo metodo ottocentesco dalle antiche scuole di scherma della penisola, anche perché è noto che nel Seicento e nel Settecento vi erano in Spagna ottimi schermitori con la daga, e che i primi due trattati di scherma ispanici, quello di Pons de Perpignan e quello di Torres de Siviglia, purtroppo irreperibili, contenevano istruzioni appunto per il maneggio della daga.
Come Pacheco de Narvaez, inoltre, anche M.d.R. ammonisce che la qualità atletica fondamentale per lo schermidore di navaja è la rapidità di piede, oltre a quella di occhio. Dai primi esperimenti di messa in pratica del metodo di M.d.R., da me effettuati, risulta in effetti che la velocità nello spostarsi e il colpo d’occhio, insieme al senso della distanza, sono le doti vincenti in questo metodo, in cui la parata è quasi assente. Un’altra osservazione nata sul campo è che chi si difende gode in genere di un certo vantaggio su chi attacca, il che rende questo metodo più adatto a scopi di difesa personale che di eliminazione rapida dell’avversario, contrariamente, per esempio, a certi metodi militari più recenti. Questo può essere dovuto in parte al fatto che l’arte della navaja doveva servire durante onorevoli duelli rusticani piuttosto che per veloci assassinii, e in parte all’impostazione difensiva della scherma spagnola da cui sembra almeno in parte derivare.
La “Striscia”, detta “Rapiére” in francese e “Rapier” in inglese, è una spada lunga e sottile, adatta a colpire principalmente di punta, anche se conserva ancora una certa capacità di tagliare, usata in ambito civile a partire dal Rinascimento.
A cura di Marco Rubboli – © 1995 Sala d’Arme Achille Marozzo